Categoria: capacità di decidere

La parola ai giovani

Il professor Galimberti raccoglie in questo testo una serie di lettere scritte a lui dai giovani riguardanti il futuro, i sogni, l’entusiasmo di chi desidera dedicarsi all’arte e alla cultura e ci regala uno spaccato positivo di giovani che sanno scrivere meglio dei loro professori, che sanno fare analisi puntuali della situazione socio politica attuale, che rivendicano valori per cui vivere, che si affacciano con rispetto al mondo del lavoro delusi dai colleghi adulti che vivono il loro mestiere come mera routine senza minimo coinvolgimento emotivo (lettera di una giovane violinista).

Sono ammirata da questi giovani capaci di sostenere i loro genitori in questo particolare momento di crisi lavorativa e contemporaneamente in grado di mantenere uno sguardo positivo sul mondo. Questo testo capovolge l’immagine  negativa che i media vogliono dare dei nostri ragazzi. Il futuro è di questi giovani tesisti appassionati, indomiti sognatori, lavoratori instancabili, capaci di prendersi quella vita e quel futuro che si cerca in tutti i modi di negare loro.

Uomini e donne incoerenti in amore

Spesso capita di ricevere in terapia persone che giungono con la motivazione di non credere più nella propria capacità di giudizio. Ci si sente completamente spaesati quando si percepisce di avere sbagliato nel valutare un compagno o una compagna, non ci si fida piu’ di se stessi. Elena in studio appare estremamente sofferente, si chiede come sia possibile che il fidanzato che fino al giorno prima le proclamava il suo amore, l’abbia lasciata, Marco racconta di una compagna che faceva progetti di vacanza insieme e che poi, senza apparente motivo, senza alcun preavviso lo lascia.

Per recuperare la fiducia nelle proprie capacità di valutare gli individui che incontriamo è dunque importante analizzare insieme tutte le fasi del rapporto…possono così emergere comportamenti del compagno a cui non si è dato peso ma che in realtà potevano far presagire il triste epilogo, piccoli episodi che stidevano rispetto all’idea che il paziente si era fatto della propria storia d’amore e che per questo, per bisogno di coerenza (il cervello ha sempre bisogno di coerenza), aveva rimosso o sminuito.

A volte ci si trova dinanzi a persone il cui linguaggio non corrisponde al comportamento, individui molto capaci sul registro verbale, in grado di tessere meravigliose storie d’amore tramite messaggi, in grado di far innamorare creando desiderio, in un sapiente gioco di presenza e assenza, pur tuttavia si tratta di una trama teatrale che non trova riscontro nei comportamenti. Il terapeuta puo’ aiutare a svelare le incoerenze, gli indizi che avrebbero creato allerta se considerati, in modo da recuperare pienamente l’autostima e la fiducia in se stesso del paziente.

 

Come ottenere il meglio da sè e dagli altri

Questo testo di Anthony Robbins ci insegna in modo semplice come l’ipnosi possa migliorare profondamente la vita di ciascuno di noi, consiglio la lettura di questo libro per fare proprie tecniche utili al cambiamento. Rendere accessibile a tutti cio’ che conosciamo in merito alle potenzialità dell’ipnosi è ciò che anch’io desidero fare. Le nostre limitazioni sono autoimposte possiamo fare ciò che siamo convinti di poter fare.

Robbins ci parla di Passione, Fede, Strategia, Chiarezza in fatto di valori, Energia, Potere di legare, Dominio della comunicazione, attraverso i quali possiamo accedere alla tecnologia del cambiamento.

 

La tua mente può cambiare

“La tua mente può cambiare” è il suggestivo titolo di un libro di Sharon Begley che spiega come i confini tra mente e corpo siano fluidi.

Per testimoniare ciò l’autrice si avvale di numerosi esperimenti di rinomati neuropsichiatri tra cui Helen Neville e Pasqual Leone, le reti neuronali del nostro cervello possono adattarsi a svolgere compiti diversi da quelli per cui sono nate, aree normalmente deputate all’elaborazione di segnali visivi possono elaborarne di uditivi e la nostra volontà, l’esercizio e l’ambiente che ci circonda possono influenzarne lo sviluppo.
Di questo si occupa la neuroplasticità, la nostra mente può cambiare modificando in contemporanea la struttura fisica cui è connessa.
I pensieri possono modificare la sruttura cerebrale, possono ampliare aree cerebrali che normalmente si attivano quando si prova uno stato di benessere.

Ecco che coltivare pensieri positivi, un approccio ottimista alla vita, non diventa più solo un semplice consiglio ma trova un riscontro scientifico.

La mente si può allenare così come si allena il corpo?

Sempre più ricerche confermano questa ipotesi, l’attenzione, la memoria, le abilità (Ericsson K, Le abilità si ottengono con l’esercizio) la concentrazione, possono aumentare ma anche la gioia di vivere può farlo e metodiche di neuroimaging possono confrontare cervelli di persone che sono affette da depressione a persone che coltivano stati di benessere paragonando le differenze fisiche degli stessi, il cervello è plastico e “pensare pensieri differenti” ne modifica la stuttura.

Studiando i cervelli di monaci buddisti tibetani notoriamente dediti per molte ore al giorno alla meditazione con oggetto la pace e l’amore per tutti gli esseri viventi si è visto che la loro struttura cerebrale è differente. Da loro si stanno mutuando tecniche volte all’allenamento mentale che possano trasformare stati depressivi e nevrotici.

Articoli sempre più frequenti (vedi “Mente e cervello”, febbraio 2010 e Psicologi a confronto n2, 2009) si stanno occupando della Mindfulness, una teoria psicologica mutuata dal buddismo che utilizza come strumento la meditazione.

La Mindfulness è la consapevolezza delle proprie sensazioni corporee, psicologiche e spirituali che emergono quando ci spingiamo a considerare la nostra esistenza nell’istante stesso in cui la sensazione si manifesta. Ci si pone come testimone non giudicante così da essere consapevoli di ciò che accade mentre sta accadendo risvegliandoci dagli automatismi che portano a vivere in modo meccanico.

Il fine è l’estinzione di uno stato di malessere attraverso un percorso di non reattività (percepire sentimenti ed emozioni senza dovervi reagire, senza giudicare, prestare attenzione momento per momento, gingere al proprio sè autentico essendo in grado di delineare se stessi, le proprie convinzioni emozioni ed obiettivi, coltivare il piacere della relazione e l’amore per il prossimo. Un testo base è quello di D.Siegel dal titolo “Mindfulness e cervello”.

Quando andare da un terapeuta

Può essere difficile decidere il momento più opportuno per rivolgersi ad un terapeuta, spesso si pensa che la situazione che si sta vivendo non sia “poi così grave” e per questa ragione si staziona più a lungo nel disagio.

In assoluto non esiste un motivo più valido di un altro per chiedere aiuto, qualunque situazione impedisca alla persona di avere una soddisfacente vita familiare, sociale, lavorativa, deve essere affrontata.

Se si percepisce che qualcosa nella propria vita è cambiato, che ci si sente limitati nel normale svolgimento della vita quotidiana, se si percepisce un senso di sofferenza, qualunque ne sia la ragione, essa è un valido motivo per giungere in terapia, (Maria, 19 anni, dice “mi sento sciocca se penso che ciò che mi fa star male è così banale, quando c’ è gente che ha malattie incurabili, c’è gente che muore…), Maria, acquisendo coraggio, dando giustamente voce al suo malessere dà importanza a se stessa, il problema infatti acquista consistenza solo all’interno della storia della persona, e solo lì può esser valutato, non al di fuori.

Quando è utile una psicoterapia?

La terapia è utile se la persona si rivolge volontariamente al terapeuta, se è motivata al percorso terapico. Il paziente al termine della prima seduta decide se intraprendere un percorso con quello specifico terapeuta o contattarne degli altri, è molto importante che egli possa scegliere in assoluta libertà, che senta se, con quello specifico professionista, si sente o meno a proprio agio nel parlare di sè.

Per quali ragioni è utile rivolgersi ad un terapeuta?

Ci si può rivolgere ad un terapeuta anche se non si sta vivendo uno stato acuto di sofferenza, anche per far chiarezza su alcuni punti della propria vita, per comprendere meglio alcune cose che stanno accadendo in se stessi o nel mondo fuori.

Il terapeuta ha ascoltato centinaia di storie di vita dunque si fa portatore di un grande bagaglio di esperienze, è lì a testimoniare che moltissime altre persone han provato quello stesso disagio, che non si è soli, non si è “strani” nè “matti”. Non c’è nulla che non possa essere affrontato e superato..

La durata della terapia è variabile, dipende dal percorso che è necessario fare, può durare anche solo pochi mesi, la singola seduta ha durata di cinquantacinque minuti, ci si incontra una o due volte la settimana nello studio del terapeuta. Lo psicoterapeuta non prescrive farmaci ma può seguire un paziente che è in cura presso uno psichiatra e sta seguendo una terapia farmacologica, i due percorsi possono andare di pari passo, per condurre il paziente ad uno stile di vita migliore.

Ho deciso: cambio lavoro

Marta, 30 anni, vive in un ambiente di lavoro ostile da ormai un anno, le colleghe in ufficio sono molto critiche, non perdono occasione per deriderla appena si allontana… non veste in modo consono al posto di lavoro, non svolge con efficienza i compiti affidatele, non è sufficientemente veloce nel portare a termine le pratiche, sono alcune delle accuse mossele. Le colleghe, oltre a metterla continuamente a disagio, non le illustrano il lavoro da svolgere, Marta infatti è alla prima esperienza in quel settore, si sente spaesata, pur manifestando grande impegno e dedizione, avrebbe bisogno di un supporto da parte delle colleghe, tutte più grandi di lei di almeno venti anni e tutte assunte lì da almeno 10 anni.
Parlando con Marta si evince che ella è l’unica in quell’ufficio munita di laurea, l’unica che parla fluentemente francese e inglese, ciò ha portato la direzione centrale della ditta ad affidarle da subito compiti di grande responsabilità, gratificanti incentivi economici e possibilità di carriera. In ufficio ormai da anni si eran instaurate tra le persone che vi lavoravano, particolari equilibri, gerarchie non legate al livello di inquadramento reale ma all’anzianità e Marta, pur non avendo consapevolmente fatto nulla per urtare gli animi delle colleghe aveva destabilizzato l’ordine e le regole non scritte di come ci si rapporta l’un l’altro in quell’ufficio.
Marta sta molto male, in quel luogo di lavoro trascorre 8-10 ore di lavoro ogni giorno e alzarsi al mattino per recarsi là è diventata una condanna da cui volersi sottrarre nonostante lo stipendio sia alto.
La storia di Marta è solo uno dei molti racconti di vita lavorativa in cui si possono emotivamente identificare tutti coloro che, per ragioni differenti, vivono con sofferenza l’idea di affrontare la propria giornata di lavoro.
Capita spesso che, come è  accaduto alla nostra protagonista, la persona si senta impotente dinanzi ad una situazione che vive come impossibile da gestire, non sente di aver scelta.
Nell’indecisione sul da farsi il tempo passa e si continua a rimandare qualunque azione possibile, si ha paura di compiere un passo falso dunque si attende il momento giusto, quello più favorevole, che però non arriva.
Ci si sente fermi, cristallizzati lì e ogni giorno la forza per reagire viene meno.
Compaiono stati di malessere fisico di varia natura, mal di testa, nausea, dolori articolari… stati d’ansia ecc.
il corpo e la mente si indeboliscono contribuendo ad affievolire la forza vitale dell’individuo, la sua capacità di analizzare con distacco e a fondo la situazione.
Se si vive una situazione di disagio sul posto di lavoro è importante prenderne atto e agire il prima possibile.
Essere coscienti giorno per giorno del proprio stato di benessere, imparare a riconoscere i segnali inviati dal corpo, ci permette di fare prevenzione. Elencare in forma scritta i motivi di disagio aiuta a ragionare meglio su ciascun punto:

  •     da quanto tempo il lavoro non mi soddisfa?
  •     abito lontano dal posto di lavoro?
  •     è mal retribuito?
  •     non è in rapporto al mio titolo di studio?
  •     le ore di lavoro sono troppe?
  •     il responsabile è incoerente, irascibile, ha sbalzi d’umore e si rivolge alle persone con toni bruschi?
  •     i colleghi sono ostici?

Prendere in mano la situazione, sentirsi soggetto attivo e non passivo della propria vita, cominciare ad agire non importa da quale punto significa comunicare a se stessi che non si è più nella condizione “stasi” ma in quella “divenire” indipendentemente dall’obiettivo.
Bisogna agire contemporaneamente su tre front:

  1.     i punti precedentemente elencati, l’obiettivo è conservare il lavoro precedente;
  2.     la propria formazione, l’obiettivo è mantenersi aggiornato, esplorare nostre nuove potenzialità anche in ambiti da noi non ancora sondati, per sviluppare nuovi sogni e prospettive;
  3.     cercare un nuovo posto di lavoro in modo serio, esplorando davvero tutte le possibili strade.

Spesso infatti alla domanda diretta “Come hai cercato lavoro?” si scopre che, in realtà il curriculum non è stato preparato in modo corretto, sono stati inviati pochi curricula, sono stati sondati solo pochi canali di contatto col mondo del lavoro.
I motivi? Si teme di essere troppo anziani, poco preparati, si teme sia solo una perdita di tempo… “il settore è saturo”, “adesso tanto, c’è la crisi”, “ho bambini non mi vorranno”… ci si è etichettati dunque si parte sconfitti in partenza, non si cerca lavoro con convinzione, ci si arrende alle prime difficoltà perchè la nefasta profezia si autoavvera.

Un senso di incertezza profonda

Domanda:

Mi chiamo Chiara e da tre mesi intrattengo una relazione con un collega di lavoro L., sono sposata da sette anni e ho un bimbo di tre, non avevo mai avuto storie prima, solo che da un po’ di tempo mi sentivo vuota, sentivo che la vita scorreva sempre uguale, i giorni sempre uguali…Adesso però non mi sento felice, ho paura, ma non so di cosa.
L. vorrebbe che io e mio figlio andassimo a vivere da lui, con mio marito il clima è glaciale, io non sono più me stessa e lui sospetta qualcosa, l’ho sorpreso a controllarmi il cellulare…però io non so che fare, non decido…facendo così ho paura di perderli entrambe ma non posso farci niente sono come congelata, che devo fare?

Risposta:

Un bravo terapeuta non deve dire cosa fare ma deve lasciare che la decisione maturi dentro la persona, probabilmente andrebbero indagate tutte le possibili cause che possono bloccarla nella scelta, forse lei si sente giudicata dalla sua famiglia di origine, forse si sente responsabile per suo figlio oppure prova ancora un forte sentimento nei confronti di suo marito e ancora le ragioni possono essere davvero molte, per circoscriverle è importante conoscere la sua vita e la sua storia, avremo modo di farlo se lei mi contatterà, non sarà per forza necessario un percorso lungo, a volte bastano alcune sedute per sbloccare una situazione di stallo che dura da tempo e intraprendere una strada che poi la persona può proseguire anche da sola.

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